mercoledì 19 febbraio 2014

Tra noia e dejavu, arridatece Pippo Baudo

Non riesco a capire se la sensazione prevalente è quella del dejà vu o della sonnolenza: certo che la prima puntata del 64esimo festival di Sanremo non è stata di quelle scoppiettanti. 
Certo, direte voi, c’è stato il dramma (che quasi mi perdevo: ma non incominciava mica alle 21, tutta la kermesse?) avvenuto all’inizio della trasmissione, dei due lavoratori di nonsoquale azienda (e che nella distrazione e confusione non abbia nemmeno sentito di quale azienda si trattasse, non è a vantaggio della loro lotta operaia… ). Ma a me, quel sentore di "falso" o perlomeno di "dejavu" (Lo ricordate Pippo Baudo?).
Certo, direte voi, c’è stato Cat Yussuf Stevens, tornato a suonare (A Sanremo??????) dopo 20 anni. 
Ma, francamente, a parte i ricordi delle strimpellate di Father and Son con la mitica Eko da battaglia (come giustamente ricordato sul divano) e una lacrima di nostalgia che non sarebbe meno onorevole se fosse stata spesa per un Claudio Villa redivivo, non ho vissuto brividi di sorpresa o novità. Chiamatemi insensibile. 

Per esempio: c’erano ben tre morti da ricordare: il primo, Fabrizio De Andrè, è stato ricordato da un emiliano, Ligabue, che ha cantato il suo capolavoro in Genovese, Creuza de mà. Poi è proseguito con l’omaggio di Enzo Jannacci da parte di suo figlio: indossare il suo impermeabile. Infine, si è concluso con traparoletre di “Mi piaccion le sbarbine” e - fortunatamente - alcuni degli aforismi di Freak Antoni ricordati dalla Littizzetto. Vabbè. Se li sono fatti fuori tutti oggi, con il risultato che li hanno compressi un po’ ridicolmente. Fa niente: tanto abbiamo visto Letizia Castà ballare “Andò hawaii, se la banana non ce l’hai?”, forse possiamo essere soddisfatti, per avere visto in soli (soli… oddio..) dieci minuti distruggere l’ultimo mito chic della Francia di Hollande. 

Ascoltare le canzoni in concorso è stata di gran lunga la cosa più difficile: a tutto il divano è parso un tormento micidiale, e la lista dei brani presentati sembrava la peggiore di sempre. Poi, sulla sigla, c’è stato una specie di riassunto dei brani passati in finale, e tra tutti c’è stato un brusìo: “beh, sentiti cosi, non sono poi così male… "
La morale è che ha prevalso per tutta la giornata di ieri il fattore noia, a causa di eccesso, e non di difetto, di cantate indiscriminate per tutti. 

Due canzoni per volta sono troppe da reggere per un cantante solo, senza cambi di vestiti. Non è divertente. Fazio, non credere che tutta l’italia è li per ascoltare la Canzone Italiana: è una grande Balla. Gli Italiani, dopo un po’ di cuore e amore, si annoiano e fanno una poltiglia unica (per l’occasione, e per dimostrartelo, ti allego qui sotto il brano “poltiglia” genialmente assemblato con le parole ascoltate ieri  nelle canzoni, da una nostra divanista) . 

Facci vedere le facce, fai inciampare qualcuno, tira fuori una a cui si apre lo spacco: questo è gli italiani che davvero vogliono, alla faccia della loro finta indignazione da social network. 
O, in alternativa, portaci la Carrà. 
La sua esibizione, a 70 anni suonati, è stata una boccata d’aria fresca, e il suo Chachaciao eletto dopo pochi secondi tormentonedellanno-iconadelgaypride.
Magari, dopo il suo appello, ci tornano pure a casa i marò.

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Allegato: il brano-poltiglia
(testo di Monica Caputi)

"Mangia la prima mela e poi fatti la banana, mentre affoghi nell'acqua controvento se vuoi che un uomo resti vivo, altrimenti: PEDALA o balliamo da lontano.
Tanto ci sei o ci fai, non so. S'acceso o s'è spento, cosa? Il Cervello: TREMENDO!
CIACCIACCIA; CIACCIOCCIAO Ma liberi noi!"
Il cielo è vuoto e la nostra immaginazione naviga nello spazio.
Sei l'unica e mi aspetto molto da te in un'Italia invisibile vista dal bar.
Ti porto a cena con me, l'amore possiede il bene, dunque tu possiedi me e io te. ma ho un conto aperto col passato e dovrò pagarlo io, anche se ora si usa poco."

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