martedì 12 febbraio 2013

Quei bei tempi in cui Claudio Villa si incazzava


Che tempi quelli in cui Claudio Villa non ammesso alla serata finale del Festival, la prendeva sul personale e - vestito di pelle e borchie - andava sotto l'hotel del patron Ravera e lo minacciava a brutto muso! Oppure quando - più prosaicamente - Pupo eliminato alla prima sera e soffocato dai debiti di gioco, indiva conferenza stampa per denunciare presunte cospirazioni festivaliere ai suoi danni... sia come sia, in oltre sessnt'anni di vita il Festival ha escogitato una miriade di variazioni sul tema della gara di canzoni. "L'eliminazione allontana i big"; "La gara aumenta l'audience"... opposte ragioni e opposti interessi (quelli dei discografici e quelli dei televisivi) si sono scontrati per anni sulla vexata quaestio: "Al festival deve scorrere il sangue dei cantanti"?

Nei mitici cinquanta/sessanta a cadere nel cesto senza troppi disturbi erano le teste di grandi star (Pizzi, Consolini, il già citato Villa, Mina, Paoli, Battisti); la gara prevedeva una doppia esecuzione della stessa canzone, affidata a due artisti italiani di opposto stile (per esempio il tradizionalissimo tenoretto leggero Tajoli e l'urlatrice Betty Curtis alle prese con Al di là, nel '61); poi con la fine del boom arrivarono all'ombra del casinò gli stranieri, che rieseguivano i pezzi dei cantanti italiani mescolando lingue e sound con risultati a volte inauditi (al festival sono transitati tra gli altri Luis Armstrong, Stevie Wonder o Dionne Warwick, solo per dirne alcuni). Poi con i settanta i big hanno cominciato a disertare la riviera, lasciando il Festival al suo periodo più buio (la riesecuzione dei brani in gara venne appaltata per un paio d'anni al solo arrangiamento orchestrale di Frank Pourcel) e perfino i filmati sono scomparsi dalla teca Rai. Di questo periodo si ricordano gli eroici tentativi di Vittorio Salvetti di riguadagnare l'interesse del pubblico al festival con formule di gara a dir poco inintellegibili, come la fantasmagorica gara a squadre del 1976, che alla fine vide però l'affermazione in  solitaria - e fuori tempo massimo -  di Peppino di Capri. Negli anni '80 l'eliminazione venne soppressa e nei novanta timidamente riproposta, anche grazie alla composizione di cast in cui le vittime sacrificali si capivano lontano un miglio (tra gli altri, meritano una prece Reitano, Peppino Gagliardi, i Dik Dik con Camaleonti e Vandelli). Venne in quegli anni anche resuscitata la formula della doppia esecuzione con star straniere, che regalò al pubblico televisivo italiano gemme assolute come Ray Charles alle prese con un pezzo di Toto Cutugno o Grace Jones che ricantava Renatino Zero.

Quest'anno, la direzione artistica di Fabio Fazio ha escogitato una formula geniale che pur salvando la gara a eliminazione, mantiene in gioco tutti: ciascun artista presenterà infatti due canzoni e porterà in finale soltanto quella più votata dalle varie giurie. Un uovo di Colombo, che accontenta i discografici, aizza lo spirito guelfo/ghibellino del pubblico italiano e assicura una buona quantità di musica spalmata nel flusso interminabile delle serate festivaliere. Una trovata semplice, che non ha mancato - è la testimonianza di una gola profonda - di assicurarsi il plauso di un altissimo dirigente Rai il quale, messo al corrente l'estate scorsa della nuova e accattivante formula di gara, ebbe a commentare: "Bella questa idea! Ma funzionerà? Perchè se è così bella come sembra, perchè in passato non era stata ancora pensata?" Ci meritiamo un mare di repliche. Da da da.

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